Stacy Sykora: Apertamente


Nella vita di ciascuno ci sono dei momenti, degli eventi che ci cambiano per sempre, che ci colpiscono nel profondo e che influiscono sulle nostre decisioni; eventi piccoli o grandi, poco importa, ma che segnano in maniera indelebile il nostro animo e la maniera di affrontare la vita. E così è stato per Stacy Sykora. In un pomeriggio di aprile, l'atleta stava raggiungendo Osasco in autobus con la sua squadra – la Vôlei Futuro – quando a soli 500 metri dalla destinazione, il mezzo si è rovesciato su un lato lasciando Stacy quasi in fin di vita. Da quel giorno la vita di Stacy Sykora ha preso un percorso del tutto nuovo: “non mi ricordo molto, ma dopo l'incidente tutto è cambiato. All'inizio pensavo che sarei tornata in forma subito dopo ma invece il tempo passava e io non riuscivo a ritrovare il mio stato fisico e mentale: ero ansiosa, avevo fretta di rimettermi in sesto e questo mi rendeva ancora più agitata e bloccata. Con il passare del tempo, finalmente però ho trovato il modo di calmarmi, di pensare alla mia vita e ho cambiato mentalità: adesso voglio vivere il 100% ogni giorno! Prima mi preoccupavo di cose come il non avere mangiato o bevuto prima dell'allenamento, di essere troppo stanca per andare in palestra... ora non più. La pallavolo è rimasta sempre il fulcro della mia giornata e della mia vita e quindi voglio dare il 100% durante l'allenamento ma fuori dal campo non posso dimenticarmi di vivere: non voglio pendere tempo perché la vita mi ha dimostrato che non si sa mai quello che ti può accadere”.

Correva l'anno 2011 e dal quel giorno Stacy sembra aver abbracciato questa filosofia di vita appieno: lo dimostra l'entusiasmo con cui ci accoglie il giorno dell'intervista e con il quale commenta le foto appena scattate, la sua voglia di raccontarsi e di aprirsi davanti al nostro microfono: “
Ora non mi nascondo più; ho finito di indossare maschere solo perché sono una giocatrice forte che ha giocato le Olimpiadi. Ho i miei pregi e le mie debolezze e così come non mi nascondo più in campo non lo faccio più nemmeno nell'amore: ho una ragazza, e con lei sto davvero bene; mi dispiace se qualcuno può storcere il naso e non accettare la mia omosessualità, ma io sto bene con lei ed è questo l'importante. Prima dell'incidente era già successo di avere delle fidanzate, ma un tempo tendevo a nasconderlo: questa è la prima volta che lo ammetto così apertamente. Ho una fidanzata, ma ciò non vuol dire che non posso essere anche una giocatrice forte e una buona persona!” . E anche il vivere questo nuovo amore fa parte della nuova vita di Stacy: “dal '98 sono stata lontana da casa sempre da sola e senza mai condividere la mia vita con nessuno. Non chiamavo mai nemmeno i miei genitori se non una volta all'anno. Ora per la prima volta ho una persona accanto nella mia quotidianità e tutte le sere non vedo l'ora di tornare a casa dagli allenamenti per stare con lei. Adesso che ho qui con me Shivonn, sto chiamando persino i miei ogni giorno: sto semplicemente vivendo la vita perché se morissi domani almeno ora sto facendo ciò che mi rende felice. Penso sempre che quando morirò sarò sola e allora voglio sfruttare al massimo ogni momento della mia vita con le persone che mi stanno più a cuore e facendo le cose che mi piacciono di più”. Un carpe diem che fa sì che il nuovo libero di Urbino viva al massimo il presente senza guardare troppo il futuro: “non penso molto al futuro adesso, ma sono molto concentrata sul mio presente. Certo, mi piacerebbe tornare a giocare in nazionale, ma non so se riuscirò a farcela. Ora sto giocando qui ad Urbino e sono contenta: vediamo cosa riusciremo a fare. L'unica cosa di cui sono sicura è che amo la pallavolo. È la mia vita: quando ero quasi morta in Brasile, l'unica cosa a cui riuscivo a pensare era che volevo giocare a pallavolo. È una costante nella mia vita e quindi penso che ne farà parte anche nel futuro! A costo di dover fare il raccattapalle!”.

La pallavolo. L'unica costante che sembra no essere stata stravolta da quel terribile incidente. Uno sport a cui Stacy si è avvicinata quasi per caso, un pomeriggio su una spiaggia assolata del Texas: “le mie due sorelle maggiori giocavano già: loro attaccavano e io difendevo ma non mi volevano mai far giocare con loro. Mi ricordo che un giorno ero in spiaggia e naturalmente le mie sorelle non mi lasciavano fare niente. Ero in battuta e loro mi dicevano di andare via; allora un signore mi si avvicinò e mi insegnò a battere la palla da sotto! Ancora adesso vorrei sapere chi è per ringraziarlo: è stato lui ad iniziarmi a questo gioco!” L'ignaro signore ha così dato inizio alla carriera di una giocatrice che è considerata da molti come il prototipo del libero, un modello a cui ispirarsi non solo per quel ruolo ma come giocatrice in assoluto! Ma Stacy è bel lontano dall'essere la “stella” della nazionale: “tante delle mie compagne di squadra hanno una mia foto autografata o uno scatto che ritrae loro da piccole con me. Ma non voglio che nessuno pensi che io mi credo la più brava. Il mio più grande pregio penso che sia proprio l'umiltà. Mi piace aiutare le mie compagne ma solo se loro vogliono e sono contente di ricevere il mio insegnamento. Per esempio, Tamari, il secondo libero della nazionale mi guarda come un modello e io sono contenta di aiutarla perché si vede che vuole imparare; e non parlo solo della tecnica ma anche del modo in cui stare in campo. Lei mi stima e io ne sono onorata anche perché so che lei può davvero fare bene e aiutare la squadra”.

In fondo è stata lei una delle prime atlete a ricoprire questo ruolo introdotto solo nel 1998. Stacy era una schiacciatrice a cui piaceva però molto ricevere e con ottimi risultati: “La mia allenatrice all'epoca era Laurie Corbelli, argento nell'84 con la nazionale americana. Un giorno mi disse: “Stacy, come posto 4 arriverai di sicuro in nazionale ma dubito che troverai il giusto spazio o che arriverai a giocarti un'olimpiade. Però c'è un nuovo ruolo penso che tu possa provare” Io, che avevo preferito la pallavolo all'atletica e alla pallacanestro proprio per raggiungere il sogno olimpico, non mi sono tirata indietro. Mi ricordo che partivo proprio dal nulla, che non c'erano delle indicazioni vere e proprie su questo ruolo e che dovevo imparare tutto. In quei momenti però non avevo nostalgia dell'attacco perché c'era tropo da imparare e io volevo essere il libero più forte del mondo. È stato grazie a Laurie quindi che è iniziata la mia carriera ed è grazie al suo consiglio che ho potuto indossare la maglia della nazionale e, da protagonista, giocare le Olimpiadi. Per ringraziarla, ho voluto indossare il numero 5 proprio perché lei da giocatrice aveva quel numero di maglia”. Ma le Olimpiadi, seppure siano l'evento più atteso da ogni atleta, per Stacy rappresentano solo un altro torneo da vincere e nel quale dare il meglio: “ per me ogni competizione è importante! Le Olimpiadi in fondo sono solo 14 giorni ogni quattro anni, un tempo minimo nella vita di una persona. Per me sono un viaggio, un percorso e quindi per me conta di più quello che uno fa ogni giorno per quattro anni per arrivare a quell'appuntamento. In quelle due settimane devi dare il tutto per tutto, ma soprattutto devi divertirti e assorbire tutto il possibile da quell'esperienza. Se vinci o perdi, cosa importa? La mia medaglia non so nemmeno dove sia, in una borsa da qualche parte....quando nel '98 l'ho avuta tra le mani mi sono detta: “e io ho fatto tutti questi sacrifici per questa?” Adesso credo che sia molto più importante ciò che si vive in quei giorni e tutto il percorso che si è fatto per arrivarci”.

Molto più importante e significativo è indossare la maglia della nazionale: “
è chiaro che è molto importante per me vestire questa maglia; sono orgogliosa di essere americana pur rispettando tutti i Paesi. Ma giocare per gli USA ha un significato molto concreto per me: scendere in campo per il mio paese significa giocare per la mia famiglia, per mia nipote, e quando canto l'inno davanti alla mia bandiera mi sento come i soldati che vanno in guerra... pronta a tutto! Penso sempre “mamma mia.... io sto giocando per tutti gli americani”. In quel momento, sulle note di “Star-Spangled Banner” penso alle persone che non ci sono più, alle persone che hanno perso la vita per il nostro Paese, per la sua libertà, e io gioco sempre per loro: penso che tutte queste persone siano vicine a me mentre sono in campo e che mi stiano guardando. La nazionale, senza alcun dubbio, accentua questo spirito di appartenenza”. Lontano dal Texas e dagli Stati Uniti, il libero di Urbino sembra però aver trovato nell'Italia una seconda casa: “ho iniziato la mia carriera qui: in fondo sono arrivata in Italia a soli 20 anni e sono cresciuta come Stacy Sykora proprio qui nel vostro paese. Posso dire do sentirmi un po' italiana: in passato, ogni anno che giocavo fuori, non importava dove, tornavo sempre qui almeno per una settimana”. 

Dopo l'esperienza a Jesi nella stagione 2004-2005 e dopo aver lasciato il segno in Spagna, Russia e Brasile, il libero texano è tornato nelle Marche, questa volta in terra feltresca. “Quando mi si è aperta la possibilità di tornare nelle Marche, dove avevo già giocato, l'ho colta al volo. La scelta di Urbino è stata dettata soprattutto dal fatto che conoscevo già parte dello staff che mi aveva accolto ad Altamura nel 2008, come Laterza, una persona di cui mi fido e con la quale sono sicura che le cose andranno bene. Questa stagione la voglio vivere al massimo ogni giorno senza guardare troppo al futuro: cerco di dare ogni giorno il 100% , ad ogni allenamento e ad ogni partita. Come tutti, quando gioco voglio vincere e questa squadra ha tutte le carte in regola e la giusta compattezza per raggiungere grandi risultati: nessuna di noi gioca per se stessa ma per la squadra e questa è la nostra arma migliore”. Se la Chateau D'Ax avrà le carte in regola per scalare la classifica e lasciare il segno in questa stagione, sarà il campo a dirlo. Ma su una cosa siamo sicuri: la nuova Stacy Sykora con la sua voglia di vivere, e di farlo intensamente, senza mezze misure e senza maschere, saprà guidare le sue compagne in questa stagione così cruciale. In fondo, come insegna Stacy. non è il risultato quello che conta, ma il viaggio fatto per arrivarci; e in sua compagnia, questo viaggio sarà sicuramente pieno di energia!

L'articolo originale è pubblicato sul numero di ottobre 2012 di Pallavoliamo.it



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