Manon Flier

L'incontro con Manon Flier è fissato per mezzogiorno: la giocatrice olandese è reduce dalla trasferta di Novara, dove la Scavolini è riuscita a strappare alle piemontesi la vittoria che ha rimesso in parità la serie valida per i quarti di finale dei play off scudetto. “Siamo arrivate questa mattina alle quattro” mi racconta Manon “e giocare contro le tue ex compagne di squadra nel loro palazzetto, è stato anche più duro”.

Il tempo di ordinare un caffè e la nostra intervista ha inizio: quando parla del suo sport a Manon le brillano gli occhi e quel che più colpisce è la sua voglia di raccontare e soprattutto di raccontarsi attraverso la pallavolo. “Io sono una persona che ha bisogno di esprimersi. All'inizio della mia carriera in Italia, la lingua è stato sempre un po' un limite per me: era terribile e frustrante non riuscire a parlare e ad esprimermi come volevo. Mi sentivo chiusa e questo devo dire che influenzava anche il mio modo di giocare. In campo, infatti, io ho bisogno di parlare con le mie compagne, di guardarle negli occhi e di dire cosa va e cosa no. In nazionale questo mi riusciva bene e quindi anche il mio gioco era migliore. Quest'anno invece è diverso. Dopo tre anni nel vostro paese, parlo molto meglio l' italiano, e quindi, durante le partite, i time out e gli allenamenti posso dire quello che penso e soprattutto riesco ad esprimere quello che ho in testa. Secondo me questo è stato un fattore che ha aiutato a migliorare il mio gioco”. Infatti,si è spesso sottolineato come le performance della giocatrice olandese fossero ottime in nazionale mai mai all'altezza nei vari club italiani.

Ecco quindi una possibile chiave di lettura. Ma non è l'unica. “Non si tratta assolutamente di differenza di stimoli: io voglio vincere e giocare bene sia in nazionale che a livello di club. Sempre. Forse in nazionale un'atleta si sente più a casa perché scende in campo con persone con le quali gioca sempre e che conosce, il che permette di gestirsi meglio. Bisogna poi tenere in conto che il modo di giocare è diverso: in nazionale tutto funziona bene perché ormai i ritmi e le tecniche sono perfettamente oliate. Inoltre, io ho un allenatore che mi dice subito quello che non va e quello che va bene e che spesso mi suggerisce anche quale piede devo mettere prima per saltare di più. Qui in Italia, invece, sei lasciata più a te stessa: ci si preoccupa meno della tecnica, mentre si dà più importanza a mantenersi in forma durante tutta la stagione. Negli allenamenti, per esempio, si tocca meno la palla e si fanno più sedute in palestra. Diciamo che forse sono diventata un po' dipendente da quello che facevo in nazionale e per questo negli anni passati ne risentivo a livello di club: in inverno mi trovavo infatti in una situazione totalmente diversa dove dovevo fare più cose da sola”.

Dopo due stagioni sotto tono a Jesi (2008-09) e a Novara (2009-10), Manon infatti quest'anno ha trovato il giusto equilibrio in casa Scavolini. Il suo tabellino fino a questo momento parla di 315 punti totali, di cui 20 ace e 281 attacchi vincenti: “quest'anno ho 27 anni e quindi sono più matura e sicuramente ho più tecnica, in quanto sono ormai due anni che sono qui in Italia. Qui a Pesaro, inoltre, la società ti dà la giusta fiducia, stima e tranquillità: è un ambiente in cui sto lavorando bene e nel quale sto benissimo. Con le mie compagne di squadra ho un'ottima intesa: siamo molto simili tra di noi e per questo siamo davvero molto unite. Poi, qui a Pesaro prima delle partite ascoltiamo la musica negli spogliatoi. Non mi era capitato mai prima, ma ne sono entusiasta. Le ragazze portano le casse e mettiamo su canzoni R&B che mi aiutano a caricarmi. É fantastico!”. Una vera e propria dichiarazione d'amore per la società bianco-rossa con la quale Manon ha vinto una Supercoppa, ha giocato le Final Four e con la quale ha dovuto superare tante difficoltà: “quest'anno abbiamo avuto tanti problemi e cambiamenti. Anche se ultimamente sono arrivare tante nuove ragazze giovani, in squadra siamo poche. Inoltre, la partenza di Destinee Hooker ha avuto un impatto molto grande sulla nostra squadra e sul raggiungimento dei nostri obiettivi stagionali”.

Tante difficoltà a cui si devono poi aggiungere le aspettative di una società che negli ultimi anni ha scritto tante pagine importanti del volley italiano: “per tre anni di seguito Pesaro ha vinto lo scudetto e quindi questa volontà di poterci ripetere è certo una grande motivazione ma crea anche un po' di pressione. Io in realtà non penso troppo in avanti: preferisco giocare partita dopo partita e focalizzarmi su cose a me più vicine. Sappiamo tutte che abbiamo tanti alti e bassi, e che se vogliamo arrivare fino alla fine dobbiamo trovare una stabilità e un rendimento più costante. Siamo però consapevoli di essere lì, di avere un buon gruppo affiatato...sappiamo che sarà difficile... ma è ancora possibile conquistare questo quarto scudetto!”. Anche se la fatidica gara 3 contro Novara non è andata come Manon sperava, con la maglia della Scavolini Volley la giocatrice nativa di Nieuwleusen ha comunque avuto la possibilità di giocare partite emozionanti e di calcare scenari importanti come quelli della Final Four di Istanbul “esserci qualificate per le Final Four di Champion League è stato bellissimo, soprattutto per esserci arrivate dopo aver battuto una squadra come Mosca che era tra le favorite. Diciamo che la mia esperienza è stata un po' rovinata da un infortunio che ho rimediato due settimane prima quando sono scesa male con il piede e ho sentito un forte dolore. Alla vigilia della partita contro il Baku mi sentivo già molto meglio, così ho deciso di lasciarmi andare e di spingere anche negli allenamenti. Una cattiva idea! Durante il riscaldamento volevo dare il massimo; ho fatto un movimento strano e subito mi ha ripreso il dolore. Ho deciso di giocare lo stesso, ma certamente non ero in grado di giocare come il mio solito: a me, infatti, piace fare tanti passi velocissimi, molti scatti, e in campo sono sempre in movimento. In quella partita proprio non potevo, ma è stato lo stesso un'esperienza molto significativa”.

Fino a questo momento è stata però un'altra partita a regalare l'emozione più grande all'opposto olandese: “la Supercoppa vinta contro Villa Cortese è stato il primo riconoscimento di questa stagione e ha per me un valore tutto particolare. Prima di tutto perché tutti davano favorita Villa. Noi, inoltre, arrivavamo da una brutta sconfitta contro Castellana Grotte. Avevamo giocato male, ma io sentivo che la squadra c'era sempre. Contro Villa abbiamo giocato da Dio! Tutto andava per il verso giusto: sembrava quasi un sogno. Certo, la Supercoppa non ha forse lo stesso valore di una Coppa Italia o di uno scudetto, ma per noi era il primo trofeo e per me ha voluto dire tanto! È stato un bell'inizio per quest'anno. Partite come queste, infatti, ti danno una marcia in più...in fin dei conti si gioca anche per questo: per avere delle emozioni sempre nuove e forti. Vincere e giocare bene ti rendono davvero felici e credetemi non è una cosa scontata: quando si perdono partite come la semifinale di Coppa Italia contro Bergamo si ha davvero tanto amaro in bocca. Ti senti male, persa: non è una bella sensazione ed è quindi importante tenere in mente sempre quei momenti belli che ti possono dare la carica e far ritornare la voglia di giocare”. E di momenti belli su quali affidarsi nei match più difficili Manon ne ha davvero tanti; a partire dalla prima convocazione in nazionale nel 2001 a soli 17 anni: “il mio debutto è stato al torneo di Montreaux: essendo per me la prima volta me lo sono goduto appieno. Non avevo infatti nessuna pressione: dovevo solo fare quello che mi dicevano. È stato bellissimo. Avevo già avuto un po' di esperienza con la nazionale prejuniores e quindi un po' già sapevo come funzionava: ma il mondo dei professionisti era tutt'altra cosa! In realtà, non avevo mai pensato di poterci arrivare. Certo, quando ero piccola fantasticavo sul fatto che un giorno avrei potuto fare grandi cose, ma non avevo mai pensato a dove sarei potuta arrivare, dove avrei giocato, nelle nazionali in Olanda o in un club all'estero. Nella mia vita ho sempre un po' seguito la strada che avevo davanti e ...mi ha portato qui”.

L'avventura nel mondo della pallavolo della giocatrice olandese è iniziata all'età di otto anni, quando la piccola Manon è stata invitata ad andare a giocare da alcune compagne di scuola: “io all'epoca giocavo già a tennis e facevo nuoto. Quando una mia amica mi ha proposto di andare con lei agli allenamenti, ho pensato “perché no?”; inoltre anche mio padre giocava a pallavolo e quindi mi sono decisa ad andare. Però nessuno mi ha spinto ha farlo. Quando avevo dodici anni facevo equitazione, tennis e pallavolo anche in un solo giorno, ed era davvero troppo soprattutto perché avevo anche le scuola. Così ho dovuto fare una scelta. La pallavolo era uno sport di squadra e questo mi piaceva molto. Così ho iniziato e non mi sono più fermata! All'inizio giocavo da centrale, perché ero alta, ma poi, nelle nazionali juniores, mi hanno assegnato il ruolo di opposto nel quale mi sono sentita subito a mio agio”. Un ruolo che l'atleta olandese interpreta un po' a modo suo: “sembrerà strano, ma a me piace più difendere una palla incredibile invece che attaccare forte sui tre metri. Mi piace fare quelle cose che le persone non si aspettano. Per esempio adoro alzare: negli schemi della nazionale, quando la alzatrice riceve sono io a palleggiare - non lo fa il centrale - e devo dire che mi piace davvero tanto cercare di dare bene la palla in palleggio”.

Nella carriera della giocatrice, un ruolo importantissimo l'ha rivestito Avlitan Selinger, allenatore della squadra nazionale: “tutti i miei allenatori mi hanno dato qualcosa. Anche se per esempio negli ultimi due anni non riuscivo a dare il mio massimo, con Nesic e Pedullà ho sempre imparato davvero tanto. Ma è stato soprattutto l'allenatore della mia nazionale a migliorare il mio gioco da un punto di vista tecnico e tattico: in questo lui è fortissimo. Selinger ha infatti allenato otto anni in Giappone e quindi il suo stile è legato al modello nipponico dove si dà tantissima importanza agli aspetti più tecnici del volley, a partire dal muro e dalla difesa. É dal 2004 che lavoro con lui e la differenza nel mio gioco si è vista tantissimo in questi ultimi anni”. La carriera di Manon ha avuto il suo apice nella vittoria del Gran Prix del 2007, una vittoria sofferta che l'ha incoronata anche come MVP del torneo: “Vincere il Gran Prix è stata una grande soddisfazione perché per sei anni dal 2001 al 2007 abbiamo giocato bene alcuni tornei ma non avevamo mai vinto nulla di importante. Quell'anno abbiamo finalmente vinto un torneo importantissimo, un risultato che mi ha dato anche uno stimolo in più e tanta voglia di vincere ancora. Eravamo partite molto male: avevamo perso il primo turno a Verona, c'erano stati tanti infortuni ed eravamo arrivare ad un punto in cui non credevamo di potercela fare. Negli spogliatoi abbiamo parlato tanto tra di noi e siamo riuscite a rimanere unite: in quel momento siamo riuscite a creare qualcosa e nella seconda fase è andata decisamente meglio. Abbiamo battuto squadre che sulla carta erano molto più forti di noi e poi nella fase finale abbiamo vinto cinque partite una dietro l'altra. Tutto andava come desideravamo e mi sembrava un sogno. Il titolo di MVP è stato gratificante vincerlo ma per me ha avuto molto più valore vincere con la mia squadra. Per esempio, nel 2009 abbiamo perso in finale gli europei ed io sono stata premiata come miglior giocatrice: credetemi, avrei preferito il contrario!”

Uno dei pregi fondamentali di quest'atleta è infatti il sapersi sacrificare per la propria squadra e il sapersi relazionare con le proprie compagne: “sono una persona che gioca per la squadra. Non mi piace solo giocare per me! Mi piace tenere unite le mie compagne durante una partita e soprattutto combattere insieme per la vittoria: secondo me , infatti, l'unione rende la squadra più forte e così anche io posso dare il meglio”. Manon è infatti una di quelle giocatrici che vive per la pallavolo nonostante i tanti interessi e qualche offerta extra-sportiva: “Mi piace molto guadare i film in streaming, fare shopping come tutte le donne, leggere, passeggiare, stare con gli amici.Ho davvero tantissimi interessi. Da quando sono qui in Italia, poi mi chiedono spesso anche di fare televisione, o di posare per dei book fotografici. Ma per me è più importante la pallavolo: voglio dare il massimo lì; poi se c'è tempo anche per altre cose va bene, ma prima di tutto per me viene la pallavolo. Certo, è divertente andare in televisione e quando posso mi piace sfruttare anche l' occasione per farlo, ma non lo baratterei mai per lo sport che amo”.

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