Ilaria Garzaro

Se Ilaria Garzaro potesse essere descritta attraverso una canzone, questa sarebbe certamente “Ragazzo Fortunato” Quello che colpisce più di Ilaria, infatti, è il suo carattere solare, quasi contagioso e il suo approccio sempre positivo verso la vita: “io mi ritengo sempre fortunata, come giocatrice e come persona: faccio un “lavoro” - se così lo posso chiamare - bellissimo che per me è anche una passione. È vero che ci sono tanti sacrifici: non c’è più un Natale, non c’è più una Pasqua con gli amici, niente più compleanni o ferie estive; ma non mi devo svegliare presto la mattina, il pane lo porto sempre a tavola tutti i giorni e non devo arrivare alla fine del mese con la paura di non riuscire a pagare le bollette o di avere il conto in banca in rosso. Ci sono per esempio delle persone che ci vengono a vedere che, pur di seguire la loro passione, fanno dei sacrifici dentro casa, e quindi mi ritengo una persona fortunata. Anche se ogni tanto me lo dimentico cerco in ogni modo di ricordarmi sempre questa cosa soprattutto quelle mattine che mi sento stanca o sono arrabbiata e mi dico che devo andare avanti, perché, ripeto, tanti vorrebbero fare questo lavoro e non tutti possono”.

Oltre ad essere fortunata, Ilaria si definisce anche una persona veramente felice: felice di essere a Pesaro, di essere titolare in una grande squadra, di aver attorno compagne fantastiche e, soprattutto, felice di come stia procedendo la sua vita fuori e dentro il campo. Ed è proprio per questo che per la giocatrice vicentina è difficile trovare un solo momento da ricordare: ce ne sono davvero troppi nella carriera di questa atleta. "i momenti che mi sono rimasti nel cuore sono davvero tanti: i vari argenti, l’oro, le qualificazioni all’Europeo, le Universiadi che ho avuto l’onore di poter fare per tre volte e che lo scorso anno ho vinto, vivendole da protagonista. Oppure il torneo di Montreaux l’anno scorso quando Zè Roberto mi chiamava dopo ogni partita per farmi i complimenti. Me ne ricordo tante di partite belle, una sola o due sarebbero troppo poche e quindi dovrei fare una lista interminabile di tutti quei momenti magici. Sono contenta di tante belle esperienze che ho fatto, dei tanti posti in cui sono stata. Dirne una sola, o due, sarebbe davvero riduttivo”.

La passione di Ilaria per la pallavolo nasce per caso: i suoi genitori, infatti, non hanno nulla a che vedere con il mondo del volley. Anzi, inizialmente suo padre e sua madre conoscevano poco di questo sport: “i miei non giocavano a pallavolo. Mio padre, al massimo, andava a vedere il Nocenta Vicentina, il cui allenatore, all’epoca, era l’ex professore di mio padre, quando andava ancora a scuola; ma non di più. All’inizio quindi mio padre non conosceva neppure bene le regole del gioco e neanche mia mamma aveva mai giocato a pallavolo. Entrambi però si sono appassionati a questo sport da quando ho iniziato a giocare nelle serie maggiori. Ora che io vivo lontano, vengono a vedere le mie partite o guardano i match che danno su Sky - che io registro sempre perché a casa non abbiamo l’abbonamento.”. Come ha fatto allora Ilaria ad avvicinarsi alla pallavolo? Il tutto è nato a causa di “Mila e Shiro”, cartone di culto per tutti gli amanti del volley. Proprio guardando ed ammirando le gesta di Mila, Ilaria si è innamorata così di questo sport. “Io sono stata una delle “vittime” del cartone “Mila e Shiro”. “Mimì” era già passata di moda quando sono nata io e, se per i maschietti c’ era “Holly e Benji” per noi femminucce c’era appunto Mila: mi ricordo che io e mia sorella lo guardavamo sempre e ci piaceva davvero tanto. Un giorno, una signora che allenava una squadretta del mio paese, ha detto a mia madre di portarmi in palestra in modo che poi quando sarei stata un po’ più grandicella avrei potuto giocare. Io facevo ancora la prima elementare e iniziai ad andare in palestra all’età di otto anni: mentre le altre ragazze giocavano sei contro sei, io facevo i bagher al muro e altri piccoli esercizi. Purtroppo questa squadra l’anno dopo si sciolse. La mia prima società vera arrivò quando frequentavo la quinta elementare e da allora non mi sono più fermata”.

Cercando di imitare Mila, dalla piccola palestra di Noventa Vicentina, Ilaria ha iniziato la sua ascesa verso la massima serie: “sono passata per tutte le varie categorie: un anno di mini volley, due anni di under 16, un anno di under 14-15, poi sono stata chiamata al Club Italia dove ho giocato tre anni. Dopo varie peripezie infine sono approdata a Forlì. L’ingaggio è stato alquanto problematico a causa del cartellino, e così sono entrata a far parte della squadra solo a fine ottobre. Prima non potevo giocare perché la squadra d’origine non voleva lasciarmi il cartellino. Così mi sono mossa tramite avvocati, tribunali e alla fine sono riuscita a comprarlo e a giocare per Forlì, dove c’erano anche Elke e Carolina (Wijnhoven e Costagrande ndr.) che ho poi ritrovato qui a Pesaro” .Nella formazione professionale e umana del numero tre bianco-rosso, una tappa fondamentale è stata quella presso il Club Italia, palestra per tante campionesse nostrane per la quale Ilaria ha giocato per tre anni; tre anni importanti e difficili per la giovane Garzaro che a quindici anni si è trovata a vivere lontano da casa e ad affrontare sessioni di allenamento che, a confronto, quelli del duro e crudele Daimon, potevano sembrare delle passeggiate: “Inizialmente è stato molto difficile. Avevo solo quindici anni. Il primo anno che c’ero io poi, non si giocava sempre: disputavamo una partita al mese e poi si stava ferme per parecchie settimane a rotazione. Quindi ogni sabato dopo la scuola dovevamo tornare a casa e ritornare poi la domenica sera. Io tutte le domeniche da settembre a dicembre piangevo sempre perché non volevo andarmene da casa dei miei. Mia madre allora mi minacciava di non accompagnarmi più alla stazione se continuavo con tutte quelle lacrime; ma fortunatamente alla fine non ha mai mantenuto quella promessa e mi ha sempre accompagnato. Alla fine però posso dire che è stata un’esperienza molto educativa; credo che mi abbia formato perché stare fuori di casa a quindici anni non è un’esperienza facile e credo anche di essere stata fortunata perché i miei non mi hanno mai messo dei paletti. Mi hanno infatti sempre detto di fare quello che mi sentivo di fare e che qualsiasi decisione io avessi preso loro sarebbero stati sempre contenti sia che io fossi andata via sia che fossi rimasta a casa. Quindi, questi tre anni sono stati difficili ma alla fine posso dire di essere contenta di averli fatti perché sono cresciuta: molte cose che ho imparato come giocatrice, non solo a livello tecnico e tattico ma anche a livello umano, è stato grazie al Club Italia”.

Tre anni che hanno permesso ad Ilaria di prepararsi al meglio per poter indossare la maglia della nazionale pre-juniores, con la quale ha vinto due argenti e un oro: “ho indossato la maglia azzurra a quindici anni, proprio dopo il primo anno nel Club Italia. È stato un onore anche perché ti rendi conto che tutti i tuoi sacrifici prima o poi vengono ripagati; magari non subito, non in quell’anno, ma ti portano ad essere una persona molto forte. Nell’indossare i colori della mia nazione, mi sento una persona importante, perché comunque mi sento di rappresentare altre ragazze che quella maglia non la possono indossare”. Dopo tre stagioni a Forlì, la centrale vicentina approda alla Scavolini Volley dove ritrova alcune delle sue ex compagne. Ilaria passa i primi due anni in bianco-rosso un po’ nelle retrovie. La consacrazione arriva con la stagione 2009-2010 che vede finalmente Ilaria scendere in campo da vera protagonista. Il battesimo nel sestetto titolare, la giocatrice lo riceve nella partita di Super Cup contro Novara: un’emozione grandissima che Ilaria ha saputo onorare al massimo con una performance davvero positiva: “quando mi hanno detto che mi sarei giocata il posto da titolare ero contenta. La prima partita è stata quella della Super Coppa contro Novara e avevo le gambe che mi tremavano: ero molto emozionata, perché comunque per me era la prima partita importante che giocavo da titolare. Sono stata molto contenta ed orgogliosa che la società abbia puntato su di me, perché mi hanno subito gettato nella mischia. Cerco di ricavare il buono in tutte le esperienze che faccio sia positive che negative di quest’anno e sono contenta perché le mie compagne di squadra mi hanno sempre sostenuto anche nei momenti più critici. Le ragazze sono davvero eccezionali perché ridiamo e ci divertiamo in allenamento. Sono felice di far parte di questo gruppo”. Ed Ilaria ha saputo onorare questa fiducia riposta in lei dalla società pesarese: 146 punti, 44 punti e 9 ace; un bottino di tutto riguardo soprattutto se si tiene in considerazione il percorso effettuato da Ilaria. Partita un po’ in sordina, la giocatrice vicentina ha in pochi mesi conquistato il suo posto in campo a suon di punti e muri ben assestati.

Ma oltre ai miglioramenti tecnici in campo, Ilaria ha colpito i tifosi e gli addetti ai lavori per il suo modo di stare in campo: un’esplosione di grinta e simpatia, capace di coinvolgere spesso anche tutte le sue compagne: “io sono un po’ “stupidina”, nel senso buono della parola, perché una ne penso e cento ne faccio. L’anno scorso per esempio facevo finta di pulire la scarpa alla compagna che aveva fatto il punto; era una cosa che faceva sempre Lucia Lunghi e poi così è capitato di farlo anche a me: però non le preparo prima; questi siparietti nascono così. Sono molto spontanea. Quest’ inverno, per esempio, faceva talmente freddo al Pala Campanara che una mattina ho detto: “Va bene. Oggi ci prepariamo per le Olimpiadi di Vancouver” e ho preso uno spazzolone, quelli che usano le bambine per pulire il campo, e ho fatto finta di giocare a curling. Sono un po’ matta, ma mi piace essere così. Spero che questo mio modo di fare riesca a rallegrare l’ambiente e che non siano prese come un brutto scherzo fatto alle avversarie o al pubblico. Non vorrei passare per quella che insulta la gente perché è una cosa veramente fatta con ingenuità per farsi due risate con le compagne”.

Anche il suo soprannome “Garzetta” suggerisce un pizzico di irriverenza e simpatia; e ad Ilaria questo soprannome piace tanto che fa fatica a separarsene: “non so nemmeno se chiamarlo soprannome, dato che oramai fa parte di me. Se qualcuno mi chiama Ilaria quasi non rispondo più. Garzetta ha una storia un po’ buffa ma alla fine me lo sono portata anche qui a Pesaro”. Questo modo di fare spontaneo e scherzoso fa in ogni modo parte dell’essere di Ilaria, che anche al di fuori del campo da gioco, mostra questo suo carattere allegro e scanzonato: “non mi sento di essere due persone diverse fuori e dentro il campo. Fuori forse sono un po’ più timida: comunque, non sono una che dà subito confidenza alle persone estranee. Sono abbastanza riservata e magari non mi piace parlare troppo della mia vita privata perchè la pallavolo, secondo me, non deve essere un mondo di gossip”. La vita di Ilaria non è fatta però di solo volley: “Non voglio vivere di sola pallavolo, perché se hai la testa solo lì poi finisci per andare nel pallone. Preferisco fare qualcos’altro come per esempio cucinare. Io, Boscoscuro e Saccomani siamo vicine di casa, e quindi una volta io ho preparato una torta salata e ne ho lasciato un pezzettino anche alle mie compagne; oppure io e la Bosco ci scambiamo le ricette; non so, io le porto uno dei miei esperimenti culinari e lei mi dice che forse ci andrebbe un po’ più di sale, un po’ di pepe o che c’è troppo peperoncino. Mi piace leggere, soprattutto romanzi storici come quelli sulla vita di Alessandro Magno scritto da Manfredi: a scuola io non mi ricordavo mai le date storiche e mi piacevano invece le storie sui personaggi, com’ erano dietro le quinte. Quindi, mi sono appassionata a questo tipo di libri”.

La pallavolo, pur essendo importante, non è quindi l’unico interesse di quest’atleta, e se il presente è ancora targato volley, come vede il suo futuro Ilaria? “Ho lasciato gli studi subito dopo il diploma delle superiori. Ho provato a fare un anno all’università di Forlì, ma per mancanza di tempo non ci sono riuscita. Mi piacerebbe iniziare a fare scienze motorie, però finchè non troverò il tempo necessario per studiare non penso di iscrivermi. Se inizio una cosa voglio portarla a termine e quindi non so quando e se inizierò, ma quando lo farò sono sicura che poterò avanti questo progetto fino in fondo. Nel mio futuro? Non so bene: certamente non mi vedo come allenatrice… al massimo potrei allenare le bimbe del minivolley. Per adesso penso solo alla pallavolo, poi magari mi piacerebbe costruire una famiglia, ma poi si vedrà. Ora penso solo a oggi e al mio presente nella Scavolini. Non ho grandi aspettative per il futuro: sono molto giovane e quindi vivo giorno per giorno, quello che arriva lo prendo sempre con felicità”.

Un “carpe diem” reso più unico dalla spontaneità e dalla solarità che contraddistinguono il centrale vicentino; una filosofia di vita e di gioco che hanno portato questa giocatrice in alto e che le permetteranno di volare ancora più su.

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